Ritorno a Mariastein in cammino verso la Speranza

Pellegrinaggio n. 35

La Madonna de Sasso (Mariastein) ci ha aspettato per 35 anni ed eccoci di ritorno con il pellegrinaggio numero 35. Nel 1990 vi eravamo arrivati provenendo da Sud: partimmo da Soletta e attraversammo il Giura punteggiato dalle macchie bianche dei ciliegi in fiore. Per tornare a incontrare la Madonna stavolta arriviamo da Nordest, dalle sponde del fiume Reno, colonna vertebrale di queste terre. Sarà un pellegrinaggio speciale, durante il quale attraverseremo 2000 anni di storia e allora, una tantum, il nostro racconto riporterà anche qualche data.

PRIMO GIORNO: RHEINFELDEN – AUGUSTA RAURICA – ARLESHEIM

(Km: 17. Dislivello: 400 m)

Rheinfelden è una bella cittadina che mantiene ancora il suo carattere medievale: ci si imbatte in vecchi edifici, qualche tratto di mura e una porta. All’interno stanno alcuni gioiellini come l’ex convento dei cappuccini ma soprattutto la commenda e cappella dei Gerosolimitani, dove venivano ospitati i pellegrini e dove Dio Padre troneggia nell’affresco di fine XV secolo del Giudizio universale. All’esterno – un po’ sulle alture – c’è la fabbrica della birra che pare un castello.

Si prosegue accompagnando il Reno nella sua corsa verso il mare e con un’improvvisa curva a gomito ci infiliamo nelle terme di Augusta Raurica, città fondata attorno al 44 a.C. Giusto il tempo di uscire dal calidarium ed eccoci a Kaiseraugst, dove era pianificata la costruzione di una centrale nucleare, alla quale si rinunciò anche in seguito alle manifestazioni del 1975 che bloccarono i lavori di scavo. Appena prima delle terme si può fare una deviazione che conduce ai resti di una chiesa paleocristiana costruita tra il 360 e il 400 d.C.

Qualche passo a cavallo tra i cantoni di Basilea Città e di Argovia ed eccoci a contemplare le rovine di Augusta Raurica, insediamento che venne realizzato a protezione del ponte sul Reno. Il teatro, edificato circa nel 200 d.C., poteva ospitare fino a 10’000 spettatori. In faccia a questo c’è la collina di Schönbühl, sulla quale vennero costruiti diversi templi per venerare le divinità romane.

Bello il castello di Pratteln, appartenuto ai signori di Eptingen (sì, proprio i nobili che vivevano dove oggi si produce l’acqua minerale e la mitica Pepita). Venne edificato nella forma attuale pochi anni dopo il devastante terremoto del 1356. Oggi non è assediato dalle truppe nemiche ma dal cemento della periferia che l’ha ormai circondato. Speriamo riesca a resistere.

Il campanile della chiesa di Sant’Antonio a Pratteln, terminato nel 1959, restò subito senza campane perché quelle previste non funzionavano a dovere. Le tre campane vennero così regalate, il campanaro non se ne fece una ragione e dopo qualche anno le rubò per riportarle in paese; tuttavia, per evitare conflitti, vennero prestate a un’altra chiesa che poi le restituì a Pratteln. Ancora oggi non guardano la gente dall’alto, ma sono mestamente depositate nel giardino della chiesa, accompagnate da una targa che racconta le loro vicissitudini.

Aggirarsi per i vialetti dell’eremo di Arlesheim, ai piedi del castello di Birseck, è un esercizio di romanticismo. Inaugurato nel 1785, è un giardino paesaggistico all’inglese, pensato in tempi dove solo poche élites potevano approfittare di queste attrazioni. La gente comune aveva ben altre gatte da pelare. Vi si trovano grotte, stagni, una cascata artificiale e tante altre sfumature della natura.
 

La collegiata di Arlesheim, ristrutturata nel 1759 in stile rococò, tutta piena di curve e sinuosità. Vi si respira leggerezza e raffinatezza. Gli stucchi sono opera di un nostro conterraneo, Francesco Pozzi da Bruzella, in valle di Muggio. L’organo è imponente. La facciata guarda sulla pregevole e vasta piazza, affiancata dalle case dei canonici.
 

SECONDO GIORNO: ARLESHEIM – DORNACH – MARIASTEIN

(Km: 17. Dislivello: 400 m)

Il Goetheanum non passa certo inosservato: ha mole imponente, assenza d’angoli retti, presenza massiccia del cemento armato. L’edificio è l’epicentro da cui si irradia il pensiero dell’antroposofia, elaborato da Rudolf Steiner. Fu lui stesso a progettare questo stabile inaugurato nel 1928. Nelle vicinanze stanno 200 edifici di forma stravagante.

La chiesa di Santa Maria Maddalena a Dornach è stata consacrata nel 1676 e accanto venne costruito un convento di frati cappuccini. Poi i Cappuccini l’hanno abbandonata per mancanza di nuove leve ed è diventata un hotel con camere essenziali, ristorante e sale per seminari, che figura nell’elenco degli alberghi più belli della Svizzera.

Proprio a Dornach nel 1499 i Confederati sconfissero le truppe dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo attaccandole di sorpresa, c’è chi scrive che i soldati imperiali fossero disarmati perché stavano facendo il bagno nel fiume Birs. A ricordo del combattimento è stato scolpito un muro lungo ben 22 metri affiancato dall’ossario, dove si vede anche un soldato che sta tranquillamente facendo il bagno.

La nuova chiesa di San Maurizio a Dornach è stata consacrata nel 1939, anni dove si costruivano le nuove chiese perché quelle precedenti non riuscivano a contenere tutta la massa dei fedeli. L’edificio è in cemento armato. L’interno essenziale, forse troppo, è rischiarato dalle vetrate di Hans Stocker.

Mentre sono al pascolo con le mucche, una madre si addormenta nella cavità di una roccia e non sorveglia il figlio che cade dal precipizio per una cinquantina di metri. La Madonna lo afferra e ne attutisce la caduta. Nella grotta dove si era addormentata sua moglie, il marito fa erigere una cappella in onore della Vergine. Questa l’origine, un po’ leggenda un po’ storia di Mariastein. Un secondo miracolo, questa volta datato, avviene nel 1541: Hans Türig von Reichenstein sopravvive a una caduta dal medesimo precipizio.

Dove sono accaduti questi fatti oggi c’è un monastero benedettino e un’abbazia, e Mariastein è diventata la più grande meta di pellegrinaggi in Svizzera dopo Einsiedeln. All’interno la chiesa, rimaneggiata più volte, appare bianca, luminosa e maestosa; di particolare pregio sono il pulpito in legno con figure degli apostoli e la cancellata in ferro battuto del coro.

Per raggiungere la grotta dove è stata costruita la prima cappella bisogna scendere 59 gradini sotto alla chiesa, accompagnati dagli ex voto di chi ha ricevuto la grazia della Madonna. Qui la Vergine ci aspetta sorridente, pronta ad ascoltare le nostre preoccupazioni e a dispensare le sue grazie.

44 a.C., 200 d.C., 400 d.C., 1356, 1499, 1541, 1676, 1759, 1785, 1928, 1939, 1959, 1975, 2025: in due giorni abbiamo camminato lungo due millenni di storia svizzera.

Documenti

  • Scarica la presentazione del pellegrinaggio qui
  • Scarica la seconda circolare con i dettagli del pellegrinaggio qui
  • Scarica l’altimetria del primo giorno qui
  • Scarica l’altimetria del secondo giorno qui
  • Scarica il saluto di Fausto per i 35 anni qui
  • Scarica il saluto di Simona per i 35 anni qui

PRIMO GIORNO: NEUENKIRCH – BUTTISHOLZ – ETTISWIL

(Km: 19. Dislivello: 250 m)

Partenza da Neuenkirch, dove ci rechiamo nella cripta della parrocchiale di sant’Ulrico per sostare sulla tomba di Niklaus Wolf, laico che servì la Chiesa educando i suoi figli, operando da politico, lavorando la terra, guarendo gli ammalati e consacrandosi alla preghiera. Qui scopriamo la corona brigidina, con le sei decine, che lo guidava nella recita del rosario.

Proprio sul confine tra Nottwil e Ruswil, all’ombra di due secolari e possenti tigli, sta la cappella della Madonna del Flusso. Già che siamo in tema di guarigioni è bello ricordare che il termine tedesco Fluss fa riferimento al “flusso dentale” causato dai denti in putrefazione. Qui si veniva a cercare sollievo affidandosi alla Madonna e su alcuni dei banchi più antichi si vedono ancora le morsicature degli sventurati.

A Buttisholz c’è l’imponente chiesa, anch’essa vasta come molte parrocchiali dei borghi della campagna lucernese. È in stile tardobarocco, ampliata nel 1914 dall’architetto Adolf Gaudi, da non confondere con l’altro architetto Gaudì con l’accento sulla i, che quello ha realizzato opere di ben altro spessore artistico.

Eccoci ad Oberroth, davanti alla cappella dei santi Gallo e Otmar, dove in tempo pasquale viene piantato l’albero che commemora l’ingresso di Gesù a Gerusalemme per la Domenica delle Palme. Ogni “albero” è decorato con piante sempreverdi come l’agrifoglio, l’abete o il ginepro. Gli anelli rappresentano l’eternità e la comunione tra le persone. Le mele simboleggiano la perdita del paradiso, ma significano anche una nuova vita.

E qui magari – previa una deviazione dell’itinerario – si potrebbe approfittare, prima di giungere ad Ettiswil, per una visita al castello Wyher, circondato dall’acqua.

Ettiswil, appunto. Portiamoci prima nella parrocchiale, anche questa costruzione imponente, di impianto settecentesco. Ci piace però segnalare l’attigua cappella mortuaria dell’Addolorata, sul soffitto ligneo della quale stanno 26 tavole raffiguranti la caducità della vita, con cartiglio esplicativo in latino.

Poco più in là c’è il santuario del Santissimo Sacramento, unico edificio religioso dedicato a un miracolo eucaristico in Svizzera. Nel 1447 l’ostia fu rubata dalla chiesa e ritrovata poco lontano, in mezzo alle ortiche, dove sembrava un fiore splendente. La costruzione del santuario avvenne in seguito alla vicenda miracolosa, che è anche raccontata sui 18 riquadri che si trovano sopra l’altare.

SECONDO GIORNO: WILLISAU – ALTBÜRON – SANKT URBAN

(Km: 17. Dislivello: 250 m)

Se a Ettiswil si fa memoria dell’eucaristia con l’Ostia, corpo di Cristo, a Willisau questo sacramento viene commemorato dal sangue che Nostro Signore versò per noi. Siamo nel 1392 e in seguito alla bestemmia di un giocatore, dal cielo cadono cinque gocce di sangue che il parroco ritaglierà e riporterà nella pisside. Su luogo del miracolo verrà eretta la cappella, poi santuario, del Santissimo Sangue, con la splendida storia della salvezza in immagini che decora il soffitto ligneo.

La minuscola cappella sul Bodenberg, la collina pianeggiante, è dedicata a sant’Apollonia, anch’essa invocata per calmare il mal di denti. I Lucernesi della campagna devono essere particolarmente soggetti a questo acciacco… Poco più avanti, a Grossdietwil, ecco una riproduzione della grotta di Lourdes.

Ad Altbüron la cappella-santuario, dalle dimensioni di una chiesa, dedicata a sant’Antonio di Padova si appoggia su una collina ed è visibile da ogni dove. La sua storia si incrocia con le lotte tra cattolici e riformati che si svolsero in questa regione. Di pregevole fattura sono gli altari e le statue lignee che qui si trovano.

Il borgo di Altbüron presenta altre due particolarità che meritano d’essere menzionate. Una è il bacino dell’acquedotto, ricavato da una galleria ferroviaria, poi abbandonata, che si iniziò a scavare nell’Ottocento. L’altra sono i prati irrigui ideati dai monaci cistercensi: l’acqua del fiume viene deviata sui campi così da formate dei “tappeti d’acqua” e fertilizzare i campi.

Ecco apparire la grande abbazia cistercense di Sankt Urban, che per lunghi anni ha determinato la storia e la vita di questa regione. I monaci purtroppo sono stati scacciati, restano gli edifici conventuali, trasformati in ospedale, e resta l’imponente chiesa. Da ammirare sono soprattutto la cancellata in ferro battuto del coro, gli stalli dei monaci e l’organo con oltre 2500 canne. È in questa abbazia che Niklaus Wolf nel 1832 abbracciò sorella morte. E così chiudiamo il cerchio.