Sui passi di san Luigi Guanella

Pellegrinaggio numero 28

Un santo della Carità, figlio di una terra dove la natura è madre e matrigna, dove ti vien spontaneo alzare gli occhi al cielo per cercare una consolazione alle fatiche quotidiane. Seguiremo i passi di don Guanella partendo dal paese dove è nato, scendendo con lui gli aspri sentieri della Valle Spluga che portano Chiavenna, inoltrandoci nella più dolce Valtellina, dove operò per la salvezza spirituale e il benessere materiale della sua gente.

PRIMO GIORNO: DA CAMPODOLCINO A CHIAVENNA

(Km: 17. Dislivello: 200 m di salita, 920 m di discesa)

 

Campodolcino si adagia su un pianoro, dove la valle prende respiro. Sopra gli sta Franciscio, villaggio che vide nascere san Luigi Guanella nel 1842. Nel cuore di Campodolcino un edificio del tardo Cinquecento, detto “Palàzz”, ospita lo splendido museo della valle, nel quale è incastonato un raffinato oratorio. Il piccolo Luigi fu battezzato nell’imponente chiesa parrocchiale, dedicata a san Giovanni Battista.

 

 

Dove la valle è scoscesa e le pareti incombono, sta il santuario di Gallivaggio. Qui, nel 1492, la Madonna apparve a due bambine che stavano raccogliendo castagne. Luigi Guanella vi faceva tappa nei suoi viaggi da e per il fondovalle. La chiesa contrasta con la severità del paesaggio; dentro domina l’armonia e colpiscono i toni caldi degli affreschi, dei marmi, dei volumi e anche dell’organo donato dagli emigranti in Sicilia. L’altare è costruito sulla roccia sopra alla quale sostò la Madonna.

 

 

 

A tenere sotto controllo il fiume Liro sta il santuario di san Guglielmo, nel comune di San Giacomo Filippo (toponimo alquanto significativo). L’edifico sacro è stato costruito sulla grotta che ospitò il santo eremita, vissuto più di 700 anni fa. Da allora il suo eremo è meta di pellegrinaggi e certamente anche luogo di sosta per i numerosi viandanti e somieri che valicavano il passo dello Spluga.

 

 

A parlare di Chiavenna non basterebbe un libro e allora ci limitiamo al gioiello più luminoso di questo borgo: il fonte battesimale in pietra ollare della collegiata. Realizzato nel 1156, è coevo delle più prestigiose sculture del romanico, come quelle del duomo di Pisa o della cattedrale di Autun. La duttilità della pietra ollare fa risaltare i volti, dà plasticità ai corpi, valorizza le striature. Magnifica la sequenza dei personaggi scelti dallo scultore per illustrare il battesimo.

 

A Prosto di Piuro sta l’avvolgente chiesa della Beata Vergine Assunta dove don Guanella celebrò, nel 1866, la sua prima messa. Terzo santuario visitato in questa giornata, fu costruito per celebrare l’apparizione seicentesca della Madonna. Ha spazi raccolti e morbide decorazioni barocche. Sopra, a guardar giù, stanno le cascate dell’Acqua Fraggia, e l’intrigante villaggio di Savogno, dove don Guanella operò in esilio per 7 anni.

SECONDO GIORNO: DA NUOVA OLONIO A MORBEGNO

(Km: 18. Dislivello: 630 m)

“In omnibus charitas” (la carità in tutte le cose), sta scritto sulla porta di bronzo della Madonna del Lavoro a Nuova Olonio. Una chiesa fatta costruire dove un tempo c’era il fondovalle paludoso e malsano. Poi arrivò don Guanella, riempì le paludi lavorando con i suoi protetti (spesso andicappati e ritardati), fondò un villaggio, costruì scuola e chiesa, creò una comunità dove gli indigenti potessero trovare la dignità del lavoro e affidò tutte queste opere alla Madonna.

 

 

 

 

La Valtellina ha dolci pendii e un ampio fondovalle. A Mantello c’è la chiesa dedicata ai santi Marco, Colombano e Gregorio. Sembra che Colombano, il monaco irlandese che nell’Alto Medioevo fondò varie abbazie in Italia, fosse giunto anche qui, valicando il passo dello Spluga. In queste terre sorse una comunità monastica che si ispirò alla regola da lui scritta. La chiesa è affiancata da un imponente campanile pendente.

 

 

 

 

Bella la chiesa di sant’Alessandro a Traona. Ha un tozzo campanile, un sagrato delimitato da arcate a mo’ di finestre sul fondovalle, un belvedere panoramico che circonda l’abside e i vigneti che le fanno da ridente cornice. All’interno si respirano i colori del legno. Don Guanella pregò, visse ed operò per tre anni nelle stanze addossate alla chiesa che ancor oggi si possono visitare.

 

 

Santa Croce, nel comune di Civo, è un balcone sulla Valtellina. La traversa che taglia a metà costa il versante retico, costellato di abitati, offre numerose testimonianze di religiosità e incantevoli scorci sul fondovalle. Morbegno si mette in mostra lì sotto, quasi fosse una Roma in miniatura: nella cittadina i campanili spuntano da ogni dove.

 

 

 

La facciata della collegiata di san Giovanni Battista a Morbegno è imponente; qualcuno l’ha detta capace di reggere il paragone con gli edifici della Roma barocca: richiama le chiese del nostro Borromini.

 

 

 

 

Il santuario della Beata Vergine Assunta è un tripudio di affreschi che raccontano la vita della Madonna e culminano con la sua incoronazione in cielo all’interno del tiburio ottagonale. Lo sguardo è però catturato ed ammaliato dalla finissima ancona lignea del Cinquecento sovrastante l’altare. Le figure scolpite nel legno e le dorature sono di stupefacente e delicata raffinatezza.

Santuari e monasteri tra la Gruyère e le Glâne

Pellegrinaggio numero 27

Il verde, le colline, i campi coltivati, i placidi torrenti che scorrono lenti tra morbide vallate. I boschi che con il loro verde oscuro fanno da sfondo al verde intenso dei prati. Lo sguardo che, se da un lato è fermato dalla linea delle Prealpi, dall’altro può scivolare fino alla catena del Giura. Il paesaggio bucolico del Canton Friborgo fa da tela di fondo all’avventura di donne e uomini di fede che si uniscono in comunità per incontrare Dio. E sempre, dove gli uomini sanno pregare, ecco sorgere i santuari mariani. Ci incamminiamo per scoprite questa terra che fa bene allo spirito.

PRIMO GIORNO: DA BULLE A SORENS E POI A ROMONT

(Km: 18. Dislivello: 300 m. Mezzo ausiliare: bus)

A Bulle, su un lato della piazza principale, sta il santuario di Notre Dame de la Compassion. La parete d’altare bianca, rivestita di nicchie con statue lignee di santi, colpisce per la sua intensità. Al centro sta una statua della Pietà che parla al solo guardarla. Dice tutto il dolore della Madonna che tiene in grembo il corpo straziato di suo Figlio.

 

Per raggiungere Sorens prendiamo un bus. Lasciamo i dolci prati dove pascolano le mucche bianconere, dai colori che ricordano la bandiera cantonale, per prendere un sentiero nell’abetaia che porta sulla cima del Mont Gibloux. Arrivati al colmo, la terrazza panoramica di un’imponente torre in cemento armato ti allarga lo sguardo su un paesaggio da cartolina.

 

 

Sulla collina sopra Villarlod incontriamo una croce scortata da due tigli piantata 250 anni fa. È in legno e a doppia traversa. In questo luogo si viene in pellegrinaggio da più di tre secoli. È uno spazio intenso, dove salire, meditare, contemplare, pregare.

 

 

 

A Orsonnens ci sono i monaci cistercensi vietnamiti. Una comunità di profughi, fuggiti dal loro paese perché vittime di persecuzioni. L’accoglienza, la preghiera e il lavoro ritmano le loro giornate. Siamo ormai entrati nel distretto della Glâne, che prende il nome dal torrente che l’attraversa.

 

 

A Berlens, il santuario di Notre-Dame de l’Épine, sta a ricordare l’apparizione della Vergine avvenuta nel mezzo di un cespuglio di biancospino. Da secoli i fedeli vengono qui in pellegrinaggio per invocare la benedizione degli occhi. Le belle vetrate colorano gli spazi di una chiesa raccolta che si trova sul cammino che porta a Compostella, dove sta la tomba dell’apostolo Giacomo il Maggiore.

 

 

 

Ai piedi della cittadella fortificata di Romont, sulle sponde della Glâne, ecco l’abbazia cistercense trappista della Fille-Dieu. Un altro luogo di preghiera che punteggia questa regione così ricca di posti che invitano ad elevare lo spirito. Le mura e gli spazi della chiesa, sorti già nel Duecento, sono oggi scolpiti dalla luce di vetrate con lo sfondo a scacchiera. Belli gli affreschi, ancorché di colore pallido. Sull’arco trionfale, a proteggere il luogo sacro, c’è il Cristo nella mandorla.

SECONDO GIORNO: DA BULLE A NOTRE DAME DES MARCHES

(Km: 19. Dislivello: 500 m)

La chiesa di Saint-Pierre-aux-Liens a Bulle è il punto di partenza di una tappa a semicerchio attorno a questa città capoluogo della Gruyère. È un imponente edificio dell’Ottocento, ricostruito dopo gli incendi che hanno distrutto la città. Sulla piazza si ammirano un tiglio secolare e “Les Halles”, il mercato coperto.

 

 

 

È splendida la natura che circonda l’ormai ex certosa della Part-Dieu. Nel 1307 i primi religiosi costruirono questo alto luogo dello spirito per pregare e contemplare. Ormai non vivono più qui, li hanno scacciati, e allora si può varcare il portone. Resta una chiesa ormai dismessa, un dolce prato al cui centro sta una fontana, qualche vecchio sasso, dei locali che sanno d’antico. Ma basta tendere bene le orecchie per sentire ancora le voci salmodianti dei monaci che riempiono il silenzio.

 

 

 

Il su e giù tra dolci pendii ci porta al Carmelo della Vergine Immacolata e di san Giuseppe, nel comune di Le Pâquier. È un edificio realizzato nel Novecento, dove una ventina di suore pregano per noi e si guadagnano la vita con lavori di artigianato. Belle le vetrate della cappella creata all’interno del monastero, dove c’è anche il coro nel quale si raccolgono le suore.

 

 

Su buona parte dei calendari che presentano la Svizzera ci sono il castello o la cittadina di Gruyères; non c’è luogo nella nostra nazione dove il Medioevo è così presente. Camminando lungo i viottoli del villaggio appoggiato sulla collina si fa un tufo nel tempo. In basso, discosta dalla via principale che porta al castello, sta la chiesa dedicata al vallesano san Teodulo, con le vetrate di Yoki.

 

 

Nella pianura formata dalla Sarine a Sud di Bulle ecco il santuario di Notre Dame des Marches. Nel 1884 ci fu la guarigione miracolosa della giovane Léonilde e, come in tutti i santuari, i pellegrini hanno appeso i loro ex voto. Il Bambino portato in braccio dalla Madonna è paffuto e sorridente. A questo santuario è ispirato lo struggente canto Nouthra Dona di Mârtsè, preghiera composta in dialetto dall’Abbé Bovet, anche lui un’icona della Gruyère.